Pubblichiamo l’intervento della giornalista e scrittrice Federica Sgaggio in seguito al nostro ultimo The Talk of the Town dedicato all’argomento “Donne, Letteratura e pregiudizi”.
Me la vedo con l’ingiustizia, coi giudizi tranchant e, nei casi più eleganti, con la fastidiosissima pretesa inclusiva di rendermi parte di una «quota» fin da quando ero piccola: sorella di handicappato; figlia – nel Veneto – di madre terrona e di famiglia tutt’altro che ricca; giornalista, e poi scrittrice, con padre bancario (peraltro morto quand’ero al liceo) e madre casalinga.
Guardo alla realtà con lenti piene di distorsioni, ovviamente, come tutti noi: ma mi fido senza problemi, e non posso dire che l’articolo riporta dati sbagliati. Allo stesso modo, non posso dire che ci sono più donne che uomini fra i direttori di giornale, fra i parlamentari, fra i ministri, nelle posizioni più rilevanti dell’economia e della finanza.
Non mi appassiona per niente l’argomento delle quote, né penso che un mondo in mano alle donne sarebbe migliore, e non solo perché conosco un gran numero di donne orrende.
So, però, che il fatto di essere una tipa sveglia mi ha danneggiato parecchio. Una che capisce è una spina nel fianco, credo. Una tipa sveglia vive esperienze diverse di un tipo sveglio, perché nessun tipo sveglio si imbatte in quei tipi che decidono che sono i suoi pigmalioni. Tu non gliel’hai chiesto, ma non importa. Quel che vogliono da te, in fondo, è solo un po’ di gratitudine che consenta loro di confermarli nel loro ruolo maschile di vate, di tramite all’Empireo.
E so anche che mi ha danneggiato il fatto di non essere una donna brutta, ma tendo a minimizzare la questione perché so che il tempo è pronto a fare il suo sporco lavoro e verrà un giorno in cui si potrà dire «hai visto la Sgaggio come si è ridotta, cara?».
Quanto a D’Orrico, penso che un uomo abbia il diritto di illividire in santa pace, e anche di trovare il suo modo per fare i conti con il doloroso fantasma di una virilità in via di graduale attenuazione come i fenomeni temporaleschi.
Perché lo dico? Perché ho provato a immaginare cosa si sarebbe detto di una donna di 58 anni che avesse scritto che gli uomini scrivono peggio delle donne, e che questo è un fatto. Che avesse sostenuto, appoggiandosi all’autorità di Flaiano, che le donne scrivono per vendicarsi, e che forse, chissà, pure perché – come dice il poeta – sono mitomani.
Credo che il primo piano con cui si sarebbero dovuti fare i conti sarebbe stato quello dell’apparenza: è ancora, questa cinquantottenne, abbastanza appetibile? No? È una scarpa? Ha la pancia? La cellulite? I capelli bianchi? Oh, be’, ma allora è semplice: è rabbia, è invidia, è frustrazione, è menopausa, è un «eccesso di femminismo» (questa cosa mi piace particolarmente perché incorpora il bisogno collettivo di «moderatismo» come valore-in-se-stesso), è il risultato di un’attività sessuale troppo lasca e decisamente poco soddisfacente.
Facebook è spesso teatro di un genere di equivoci che chiariscono un po’ ciò di cui parliamo. Tu, donna che scrive, apri un profilo Fb. Ti guardi intorno, cerchi di farti un’idea. Un tizio dell’ambiente, generalmente fra i meno avvenenti, pensa che tu abbia bisogno di lui. Ti manda messaggi. Ti propone di scrivere del tuo libro. Ti incensa. Ti immagina grata, pronta a compiacerlo per ottenere la sua attenzione. E poi, zac, butta lì una cosetta ambigua. Tu la ignori, e allora lui spinge un po’ di più. Tu la butti sul ridere. Lui è costretto a scoprire un po’ di più le carte. Tu non rispondi. Lui non riesce a credere che tu possa ignorare il suo potere seduttivo, e tenta l’affondo con il quale dovrebbe stenderti. Diventa esplicito, slitta alla proposta sessuale. E tu gli dici che non sei interessata a lui. Glielo dici con garbo, con grazia, perché una donna non può semplicemente mandare affanculo. E lui ti dice che hai capito male, e che comunque puoi far finta quanto vuoi di essere un tipo disinibito ecci-cci-ccì e-cci-cci-ccià, invece sei la solita suora repressa.
Ecco. Conosco decine di colleghe a cui è successa una cosa del genere. Ma non conosco neanche un uomo che abbia vissuto l’esperienza simmetrica e opposta.
Dev’essere perché gli uomini scrivono meglio.
Altre spiegazioni – decisamente – non ce ne sono.